3 gennaio 2013

Un conflitto eterno. Completamente inventato.


Pubblico in questo post un mio vecchio articolo, uscito a inizio 2011 sulla rivista Spirito Libero (allora cartacea, ora si trova all'indirizzo http://www.spiritoliberomag.it/). A posteriori, il titolo non mi pare dei più felici, ma tant'è. Riporto anche quello.

La questione di oggi invade ogni spazio della vita quotidiana e della comunicazione di massa: il conflitto tra i sessi. Si tratta di un problema che, se affrontato con (facile) ironia, riscuote grandi successi,  e sono citabili come esempi lampanti l’umorismo dei comici (sic!) Geppi Cucciari e Dario Cassini o il film di recente uscita Uomini contro donne, e che invece, portato in ambienti professionali e in contesti sociali, suscita grandi dibattiti, che sovente sfociano nel più insipido dei muro contro muro. La questione si regge su un immenso equivoco di fondo che mi pare tanto banale quanto quintessenziale sottolineare: la sola distinzione tra uomini e donne è obsoleta, se non un retaggio preistorico. Una differenza che poteva valere quando nei cieli spiccavano brevi voli dei placidi Archaeopteryx. Nel farlo adesso si commette un errore macroscopico, e cioè si passa sopra alla sussistente parità tra gli esseri umani, alla loro uguaglianza. Se si continuano a concepire uomini e donne come esponenti del proprio sesso anziché dell’umanità come insieme di menti, sarà inevitabile cadere nei più triti luoghi comuni e nelle discriminazioni, e basti pensare al trattamento che ricevono le donne in vari campi del lavoro, così come all’immagine che gli uomini devono mantenere per non essere definiti “effeminati” (insulto grave quant’altri mai, per chi è cresciuto con il mito del playboy seriale e all’ombra della figura del patriarca infallibile, e in definitiva per chi ha una imponente mole di insicurezze legate alla concezione di sé in funzione degli altri). Sono spesso portato a concludere, quando mi trovo davanti a discorsi del genere, per capirci “voi donne/uomini siete tutte/i uguali!”, ed è importante l’intercambiabilità dei termini per definire la vacuità dell’affermazione, che chi li fa pensi con una coscienza protoscimmiesca, un intelletto perso tra le felci pre-glaciazione (di cui però c’è da dire che farebbero la loro figura in salotto). È davvero così difficile smettere di essere schiavi della propria immagine esteriore, di essere così asserviti a considerare l’altro sesso “inferiore”, di avere una concezione dell’altro quale semplice rappresentazione di un genere? Probabilmente sì, per chi è stato educato fin da piccolo alla competitività, all’affermazione di sé sugli altri (affermazione coercitiva, s’intende). È certo più facile dire “ma sì, gli uomini sono tutti pansessuali” o “ma sì, le donne sono tutte mignotte” che fermarsi a considerare la complessità della mente, la profondità dei pensieri, le diversità tra i singoli individui. Generalizzo, e il gioco è fatto: via tutto, tabula rasa. Pensieri? Cosa sono? Coscienza? Quale? Sensibilità? Ma la possiede qualcun altro oltre a me? Una terrible simplification che annulla l’essenza stessa dell’essere umano, la comprensione dell’altro, la consapevolezza che non siamo egolatricamente chiusi in noi stessi ma che chi abbiamo intorno è complesso almeno quanto noi, se non di più. E allora basta, basta barriere, basta ostacoli, basta grettezze dispettose e malignità maliziose, non siamo uomini e donne ma esemplari di homo sapiens sapiens, abbiamo la capacità per andare oltre ai pregiudizi, ai sospetti, alle discriminazioni, alla stolidità. Se lo vogliamo.

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